La rinuncia al trattamento di fine mandato: la giurisprudenza conferma l’incasso giuridico delle somme

2 Maggio 2022di Alberto Pegoraro

Viene tassato l’importo di trattamento di fine mandato (TFM) cui l’amministratore rinuncia perché anche se il credito non viene materialmente “incassato” viene comunque indirettamente “utilizzato” per accrescere il valore della partecipazione sociale.

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12222 del 14/04/2022, conferma un orientamento ormai consolidato secondo cui alla rinuncia ad un credito da parte di un socio può applicarsi l’istituto dell’incasso giuridico in quanto la rinuncia costituisce una prestazione che aumenta il patrimonio della società e quindi il valore delle sue quote sociali.

Appare quindi corretta per i supremi giudici la ricostruzione della capacità contributiva operata dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un socio-amministratore che aveva rinunciato ad un credito nei confronti della società per il trattamento di fine mandato accantonato negli anni dalla società a suo favore in qualità di amministratore. In particolare, la rinuncia del credito da parte del socio è espressione della sua volontà di patrimonializzare la società e quindi non può essere equiparata alla remissione di un debito da parte di un soggetto “terzo” estraneo alla compagine sociale.

In aggiunta, poiché la patrimonializzazione della società comporta l’arricchimento di un soggetto giuridico – la società – che appartiene al rinunciante in quanto socio della stessa, il socio si gioverebbe dell’incremento della partecipazione sociale. Tale distorsione, sempre secondo i giudici, si coglie in particolare nell’ipotesi di società a ristretta base partecipativa (in cui tutti i soci fossero anche amministratori) oppure nell’ipotesi di amministratore-unico socio. In particolare, in tale ultimo caso il socio-amministratore che rinunciasse al compenso, rimarrebbe (attraverso la società) proprietario dell’intera somma cui ha rinunciato senza emersione di capacità contributiva.