Con l’ordinanza n. 23526 del 19 agosto scorso, la Corte di Cassazione si è nuovamente espressa in favore dei contribuenti che rientrano nel regime agevolato degli impatriati di cui all’art. 16 del D.Lgs. 147/2015, riconoscendo il diritto al rimborso delle maggiori imposte versate anche in assenza di una preventiva istanza al datore di lavoro o di indicazione del reddito agevolato in dichiarazione.
Il caso riguarda un lavoratore trasferitosi in Italia nel 2017, che aveva acquisito la residenza fiscale dal 2018 e richiesto il rimborso delle imposte pagate in eccesso, pur non avendo attivato le procedure formali previste dall’Agenzia delle Entrate. Dopo il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione finanziaria, il contribuente ha ottenuto ragione sia in primo che in secondo grado, con la Corte di Giustizia tributaria di II grado Lombardia che ha chiarito come la decadenza dall’agevolazione per mancata richiesta non sia prevista da alcuna norma.
La Cassazione, confermando i precedenti orientamenti, ha ribadito che il divieto di rimborso delle imposte versate “in adempimento spontaneo” (art. 44, comma 3-quater, DL 78/2010 e art. 16, comma 5-ter, D.Lgs. 147/2015) non può avere efficacia retroattiva e si applica solo ai casi specifici previsti dalla normativa, in particolare per i soggetti non iscritti all’AIRE.
In sintesi, per i periodi precedenti alle modifiche introdotte dal DL 34/2019, il lavoratore che possiede i requisiti per il regime impatriati può fruire dell’agevolazione in tre modi:
- richiesta al datore di lavoro per l’applicazione delle ritenute ridotte;
- fruizione in dichiarazione dei redditi;
- istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 del DPR 602/73, anche in assenza delle precedenti due modalità.
Questa pronuncia rappresenta un’importante tutela per i lavoratori rientrati in Italia e offre ai professionisti un ulteriore strumento per assistere i clienti nella richiesta di benefici fiscali, anche in presenza di errori o omissioni formali.